Il bello della rete è che tutti possono dire la loro. Spesso tutto questo arricchisce e stimola il confronto civile e la crescita personale. Altre volte, e non sono poche, innesta una sequela di cause, tutte volte a far dichiarare offensivo e non vero quanto si è detto e postato sui social.
Insomma, la diffamazione, reato noto ai più, vive una seconda giovinezza grazie all’euforia social.
A questi temi hanno dedicato una interessante riflessione giuridica e pratica Bruna Alessandra Fossati, in collaborazione con Massimo Di Muro e Alessandro Munari, tutti professionisti dello Studio Legale Munari Cavani.

Il libro “La diffamazione tra media nuovi e tradizionali“, di Alessandra B. Fossati (in collaborazione con Massimo Di Muro), edito da Munari Cavani Publishing, nasce da un’idea di Alessandro Munari, che lo ha curato, e dell’avv.to Fossati.
Il volume si struttura in sette capitoli: Il diritto all’informazione tra art.21 Cost. e art. 10 Cedu; Il reato di diffamazione; Il diritto di cronaca; Il diritto di critica; La satira; La diffamazione, Internet e i nuovi strumenti di comunicazione; I profili risarcitori e riparatori: Danno da diffamazione.
“Abbiamo inteso far confluire le nostre esperienze professionali e di tutti i colleghi dello Studio che si occupano della materia della diffamazione a mezzo stampa, approfondendo il delicato tema della libertà di manifestazione del pensiero in tutte le sue declinazioni e curando di analizzarne l’evoluzione alla luce delle continue trasformazioni sociali, etiche e tecnologiche dei media, della comunicazione e dell’informazione”, spiega Bruna Alessandra Fossati a Businesscommunity.it, cui abbiamo rivolto qualche domanda.

Sono numerose le pubblicazioni uscite negli ultimi anni sul tema: per quali motivi la sua proposta ritiene sia diversa dalle altre?

La pubblicazione analizza il reato della diffamazione regolato dall’art. 595 c.p. in maniera dinamica e trasversale. Un excursus dalla tradizione ai nuovi media facendo convivere approfondimenti normativi con casi giurisprudenziali. La sua peculiarità è da rinvenire in un calibrato equilibrio di cultura giuridica e rigore professionale con la freschezza dei modi espressivi e la novità degli strumenti di analisi ed approccio. Un libro di taglio eminentemente pratico, insomma.

Oggi, anche per lo sviluppo massivo dei social, si assiste ad un iper attivismo in tema di diffamazione. È così?

Informazione non è più sinonimo di giornalismo: non esiste più (o soltanto) il binomio informazione-giornalista, dove l’informazione si identificava pressoché esclusivamente con la carta stampata e la televisione, ma si è affermato l’accostamento informazione-chiunque, dove qualsiasi dato immesso sulla Rete da chiunque è percepito come informazione. Nell’era della crossmedialità ciascun individuo ha la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero, senza tuttavia aggiungere a questa prerogativa personale la precisa funzione sociale tipica dell’informazione giornalistica finalizzata all’evoluzione culturale della società la quale, attraverso la sua partecipazione ed elaborazione, contribuisce al suo controllo.

Sulla base della vostra esperienza, i social avrebbero necessità di una disciplina ad hoc oppure quella vigente è facilmente estendibile?

Il tema è complesso. La legge stampa n. 47/1948, anche alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale di legittimità, è oggi applicabile sotto il profilo civilistico alle testate telematiche. Altro sono i social network, i blog, le newsletter e i newsgroup che non godono delle medesime garanzie. Con riferimento al singolo utente che pone in essere la condotta diffamatoria, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che quando il fatto è commesso mediante la pubblicazione su un social network si rientra nell’ambito della diffamazione aggravata dall’utilizzo del mezzo di pubblicità. La lesione dell’onore e della reputazione, diffusa tramite social network, integra il reato di diffamazione aggravato da un qualunque mezzo di diffusione, quale appunto è quello telematico.

In una società che vive molto sull’apparire, le sanzioni e i risarcimenti andrebbero inaspriti per avere un maggior effetto deterrente?

Le battaglie contro l’odio in Rete e i cd. leoni da tastiera prima ancora che con sanzioni esemplari si combattono con la consapevolezza. Non si è consapevoli delle potenzialità, anche negative, del mezzo, dei danni che può provocare, di come dovrebbe essere una convivenza civile digitale. Una consapevolezza che manca alla persona che trova facile insultare un personaggio famoso, il vicino di casa, il rivale in amore; manca ai giovani che si riprendono in atteggiamenti intimi e poi condividono il video con gli amici; manca agli studenti che “bullizzano” i compagni considerati per qualunque ragione “diversi”.
Occorre imparare a considerare il web come parte del proprio contesto sociale e a muoversi al suo interno educatamente. Un’educazione civica digitale: così come si impara e si insegna a comportarsi in diverse situazioni sociali, così si deve imparare e insegnare a comportarsi e a gestirsi sui social e, in generale, in Rete.

La natura diffusa della rete, attraverso la quale si perpetuano molte lesioni all’immagine e reputazione, non corre il rischio di ridurre la rilevanza del risarcimento che si potrebbe chiedere?

La Rete è un macro mondo senza confini che in ragione della sua immediatezza e diffusività consente anche in tempo reale di smentire una notizia o di reagire ad un’offesa. Tuttavia la Rete non dimentica e accanto a rimedi risarcitori di natura pecuniaria possono avere maggiore efficacia riparatoria altre sanzioni quali la deindicizzazione dell’articolo diffamatorio, l’aggiornamento della notizia o ancora la rimozione del post o del commento lesivo.

Si dice spesso che le piattaforme e i social sfuggono alle proprie responsabilità: lei cosa ne pensa?

Il principio uniformatore è quello della Net neutrality il quale sancisce una sostanziale esenzione di responsabilità dei fornitori di servizi di informazione per i contenuti antigiuridici immessi in Rete dai propri clienti. I colossi della Rete se tuttavia da un lato non sono gravati di un obbligo generale di sorveglianza devono trasmettere senza indugio all’autorità giudiziaria o a quella amministrativa presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio.
Il principio della neutralità della Rete è ispirato alla Direttiva comunitaria in materia di eCommerce, quindi del commercio elettronico. Ci sarebbe bisogno di un intervento normativo più mirato volto a coordinare e uniformare la disciplina comunitaria anche nell’ambito della società dell’informazione e comunicazione che guardi alle piattaforme digitali come a delle vere e proprie redazioni ed ai loro gestori come a degli editori.

Leggi l’articolo