A cinque anni dalla rivoluzionaria sentenza della Corte di Giustizia Europea conosciuta come Google Spain, con una recente pronuncia il Garante privacy ha esteso il campo di applicazione del diritto all’oblio. L’Autorità ha stabilito che, in casi particolari, esso possa essere invocato anche partendo da dati presenti sul web che non siano il nome e il cognome dell’interessato, purché quest’ultimo sia comunque identificabile, anche in via indiretta. Il Garante ha così deciso sul reclamo proposto da un professionista che aveva richiesto invano a Google la deindicizzazione di una sequenza url che risultava reperibile on line digitando non il proprio nome e cognome, ma il riferimento alla sua qualifica professionale di presidente di una determinata cooperativa. L’url faceva riferimento ad una notizia relativa ad un rinvio a giudizio avvenuto dieci anni prima, riguardo al quale era nel frattempo intervenuta una sentenza definitiva di assoluzione. La permanenza in rete della notizia non più attuale né aggiornata rappresentava, ad avviso dell’interessato, un gravissimo e irreparabile pregiudizio alla propria reputazione. L’Autorità ha interpretato, ampliandolo, il principio, indicato nella sentenza Google Spain e nelle Linee Guida WP Art. 29, secondo il quale il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere dall’elenco di risultati, che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona. Il Garante, sulla base del Regolamento europeo 2016/679 (meglio noto come Gdpr) che definisce dato personale “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica indentificata o identificabile”, ha stabilito che il risultato della ricerca effettuata tramite riferimento alla carica rivestita dal reclamante costituisce un trattamento di dati personali. Si considera identificabile la persona fisica che può essere individuata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento al nome, ad un numero di identificazione, a dati relativi all’ubicazione, a un identificativo on line o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale.
In questo caso specifico, secondo il Garante, gli “elementi caratteristici dell’identità culturale e sociale dell’interessato”, definiti attraverso la qualifica di presidente della cooperativa, hanno determinano di fatto un’identificazione del reclamante con la cooperativa stessa, atteso il ruolo di primo piano avuto dal medesimo. Il principio della non necessarietà della esplicita individuazione della persona offesa trova già applicazione nel nostro ordinamento in ambito di diffamazione a mezzo stampa o con altri mezzi equiparati: il soggetto offeso nella sua reputazione, seppur non necessariamente indicato nominativamente, deve essere individuabile agevolmente e con certezza. È sufficiente pertanto che l’identità del soggetto diffamato possa desumersi da riferimenti inequivoci a fatti e circostanze di notoria conoscenza, al medesimo (e non ad altri) attribuibili.

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